“Se devo essere sincero, a parte il disagio arrecato ai pazienti che sono stati costretti a girare un po’ per trovarci, l’unico vero dispiacere riguarda la perdita di alcuni libri a cui tenevo tanto, perché erano un ricordo dei miei studi giovanili e che purtroppo sono finiti a mollo”.
È questo l’unico momento nel quale Roberto Salgemini, 65 anni, medico di famiglia a Solarolo in provincia di Ravenna, si lascia andare a una nota di sconforto subito sfumata, però, da un sorriso, mentre ricorda i momenti più drammatici dell’alluvione che lo scorso maggio ha colpito l’Emilia-Romagna.
Per il resto, il suo racconto è quello di chi un minuto dopo il disastro si è rimboccato le maniche per trovare una soluzione, seppur precaria, per continuare a fornire assistenza ai propri pazienti. “La notte di martedì 16 maggio, il nostro centro medico dove presto servizio con i colleghi Fabio Turrini e Fabrizia Farolfi è stato allagato da 90 centimetri d’acqua. Il giorno dopo, l’Asl ci comunicava di rimanere a casa e prestare servizio da remoto, perché delle emergenze si sarebbe occupato il 118. E così abbiamo fatto per il mercoledì e per il giovedì. Già da venerdì però – continua Salgemini – la Protezione Civile ci ha messo a disposizione un container nel quale abbiamo ripreso la nostra attività assistenziale, supportati anche da medici volontari che ci hanno permesso di coprire i giorni festivi”.
Dopo tre settimane per i medici è stato possibile rientrare nel vecchio studio, reso agibile però solo per una metà.
Per tornare alla normalità, infatti, ci vorrà ancora un po’. E se al telefono ci permettiamo di ricordare che c’è la possibilità di richiedere un aiuto all’Enpam, con grande compostezza e quasi senso del pudore, Salgemini ci fa notare che in fondo ha dovuto solo ricomprare un computer e un frigorifero, e che – comunque – per pensare ai danni materiali ci sarà tempo.
A oggi, quello che davvero gli interessa sottolineare è che nella tragedia “una piccola risposta l’abbiamo data e io e i miei colleghi siamo soddisfatti e orgogliosi del servizio che, nell’emergenza, siamo comunque riusciti a garantire”.
E proprio da Faenza, città d’origine di Salgemini, arriva un’altra storia, che potremmo definire di ordinaria resistenza agli effetti drammatici dell’alluvione. A raccontarla è Elena Bazzocchi, che condivide un centro medico insieme a altri quattro colleghi medici, tre impiegate e un’infermiera proprio nella zona più colpita dall’alluvione.
Lo studio, per fortuna, non ha subito danni, ma il 17 maggio è stato dichiarato inagibile perché i sotterranei dell’immobile in cui si trova erano completamente allagati. “Nella notte del 16 maggio – racconta Bazzocchi – siamo riusciti per fortuna a mettere in salvo tutti i dati informatici dei nostri pazienti. Dal 17 poi, abbiamo fatto pianta stabile all’interno dei centri di accoglienza che erano stati approntati in città per tutti gli sfollati. Non l’abbiamo fatto solo per lavoro, ma anche, e forse soprattutto, per senso civico, paragonabile a quello dei tanti volontari che sono venuti a darci una mano. Perché vi posso assicurare – prosegue commossa la dottoressa – che uscire, andare via da quei centri era per noi impossibile: ci siamo trovati infatti ad aiutare e curare persone che avevano, o meglio, che hanno, letteralmente perso tutto”.
Adesso, da circa una decina di giorni, Bazzocchi e i suoi colleghi sono tornati nel loro centro medico.
“Abbiamo dovuto attendere che fosse tolta l’acqua dai sotterranei, che fossero riattivate tutte le connessioni, in particolare quelle digitali, e che il Comune ci confermasse l’agibilità degli spazi”.
Giuseppe Cordasco