
Il dottor Carlo Urbani
Il sacrificio di un medico italiano ha fermato la Sars, lasciando in eredità un metodo anti-pandemie utile anche contro il Covid-19.
La memoria di Carlo Urbani, infettivologo di fama internazionale, morto in Thailandia nel 2003, è stata onorata in occasione della Giornata dei giusti dell’umanità, lo scorso 6 marzo.
Il nome del camice bianco è stato iscritto nel Giardino dei Giusti del Monte Stella di Milano dal Comitato dei garanti dell’associazione, composta da Comune, Unione delle comunità ebraiche italiane e Comitato foresta dei giusti-Gariwo.
UNA SCOPERTA LETALE
Urbani, laureato ad Ancona e specializzato a Messina, presidente di “Medici senza frontiere Italia” che nel 1999 ritirò il Premio Nobel per la pace assegnato all’associazione internazionale, fu il primo a identificare e classificare la polmonite atipica.
Nel febbraio del 2003, da coordinatore dell’Oms per le Politiche sanitarie contro le malattie parassitarie nel Sud-Est asiatico, si occupa in Vietnam del caso di un uomo d’affari che nessuno sa curare e che sta infettando il personale medico.
Si accorge di trovarsi di fronte a una nuova malattia e lancia l’allarme a governo e Oms.
“Aveva isolato l’ospedale, ma lottava per l’applicazione di misure drastiche, come la quarantena. Mi disse che se non fossero riusciti a contenere la situazione ci sarebbe stato il rischio di una grande epidemia come la Spagnola”, racconta al Giornale della Previdenza Giuliana Chiorrini, moglie del medico italiano.
La necessità di isolare immediatamente i pazienti e di monitorare tutti i viaggiatori andava contro gli interessi economici e di immagine del Paese, ma “dopo l’incontro decisivo col ministero della Salute locale – continua la signora Urbani – mi disse ‘ce l’ho fatta’, come se avesse raggiunto il traguardo della vita”.
Il prezzo di quell’azione d’emergenza, Urbani lo scopre mentre è in volo per Bangkok, quando dai primi sintomi – febbre, tosse, debolezza – si rende conto di avare contratto il virus della Sars.
L’infettivologo allerta l’Oms, avvisa ai medici che l’assistono di mantenersi a distanza da lui e collabora con i sanitari spiegando il decorso della malattia.
“Sperava di farcela”, racconta Giuliana Chiorrini, ma le condizioni si aggravano e Urbani muore dopo due settimane, il 29 marzo 2003, raccomandando che il suo tessuto polmonare venisse utilizzato per la ricerca. Un mese dopo, il Vietnam annuncia di aver sconfitto la Sars, a differenza di altri Paesi, dove il virus si era diffuso in modo più capillare.
MILIONI DI VITE SALVATE
Gli ufficiali medici dell’Oms riconoscono che, se non fosse stato per il tempestivo intervento di Urbani, la Sars avrebbe infettato più lontano e più velocemente.
“Se non avesse intuito che l’insorgere di quel virus era qualcosa di fuori dall’ordinario, molte più persone sarebbero cadute vittima della Sars”, aveva commentato l’allora segretario generale delle Nazioni Unite, Kofi Annan.
“Il dottor Urbani lascia un esempio illuminante nella famiglia delle Nazioni Unite e nella comunità sanitaria di tutto il mondo”, aveva aggiunto Annan, assicurando di ricordare il camice caduto “come un eroe, nel senso più elevato e più vero del termine”.
“Nostro padre è celebrato in tutto il mondo, ma solo questo Covid ci ha fatto capire veramente che cosa ha fatto, lottando contro i governi che tenevano nascosto il contagio e quelli che per motivi economici rifiutavano di chiudere i confini. Solo oggi sappiamo che salvò la vita a milioni di persone”, ha detto Luca Urbani, figlio del medico che ha identificato la Sars, in occasione della cerimonia al Giardino dei Giusti.
“Carlo era una persona molto determinata, che capiva al volo le cose, un bravo infettivologo, che fin da bambino sognava di fare il medico, di lavorare in favore delle popolazioni più disagiate”, lo ricorda la moglie.
“Un sognatore – continua Giuliana Chiorrini – che credeva nel suo lavoro e lo svolgeva con amore, con passione. Sapeva stare vicino ai pazienti e curare anche con le parole”.
Un medico che prima di tutto era un uomo, “che amava viaggiare, suonare il piano, cucinare, volare con deltaplano a motore”.
Un camice con una vita da romanzo. “Lavorava a Macerata, dove aveva rinunciato al ruolo di primario di Malattie infettive. Prendeva le ferie per andare a Ginevra all’Oms o in Africa. Poi sono arrivati gli incarichi in Asia, in Cambogia e Vietnam. Negli ultimi suoi giorni mi ha detto: ‘Dalla vita ho avuto tutto, ho realizzato i miei sogni. Il dolore più grande è lasciare i miei figli’. In questo momento – conclude la moglie del medico – ci vorrebbe un dottor Urbani che sappia svegliare le coscienze”.
Antioco Fois