Il torinese Marco Peretti è approdato a dicembre in Ucraina, in un teatro di guerra per nulla meno infuocato, nonostante l’approssimarsi del Natale.
Il suo obiettivo, racconta ora che è tornato, è stato sviluppare il progetto di Emergency, che consiste nel valutare le difficoltà di accesso alle cure per le popolazioni, analizzare i bisogni di primary health care e sviluppare un percorso community based sostenibile in un contesto d’emergenza e sofferenza quotidiana, con particolare attenzione a cronicità e prevenzione.
“Volevo che il mio ruolo non fosse solo di medico, – continua il medico parlando al Giornale della previdenza – ma un piccolo, concreto segno d’impegno per la pace: Si vis pacem, come si dice, para… pacem”.
Oltre a essere una professione, Peretti è infatti convinto che esercitare la medicina, specie nei momenti più critici, sia un servizio alla collettività.
TESTIMONE DI PACE
Quando descrive le sue prime reazioni a contatto con la guerra, dice di essere stato travolto da un mix di incredulità, dolore, ma anche senso di urgenza.
“Impossibile – racconta – non rimanere colpiti dalla devastazione e dall’incertezza che si respirano ovunque. In un Paese sofferente, ogni giorno è una lotta per sopravvivere in una quotidianità incerta”.
Questo gli ha fatto comprendere che il suo impegno significava offrire anche conforto e speranza.
“La concreta risposta alla guerra – dice ancora Peretti – è esserci, non con le armi o la violenza bellica, ma con l’impegno vissuto sulla propria pelle, assumendosi anche dei rischi. Chi sceglie la medicina credo lo faccia per essere utile agli altri. Ma non ci si può limitare a un ospedale o una città”.
Al di là di slogan e principi teorici, il medico si dice convinto che un cammino di giustizia sociale e di pace richieda un impegno concreto. Di qui la scelta di dar corpo ai valori più profondi, prendendo concretamente sulle spalle un pezzo del progetto di Emergency.
“Il senso più alto del nostro lavoro – commenta – è portare aiuto senza esitazione là dove c’è più bisogno”.
Fondamentale per Peretti è stata la vicinanza della moglie e dei figli, con i quali ha condiviso le sue scelte. Nell’andare in un Paese in guerra li ha resi partecipi di ansie e preoccupazioni, ma anche delle motivazioni che sono state alla radice della sua scelta.
LA RELAZIONE È CURA
Dalla sua esperienza, Peretti dice di essere tornato, in qualche senso, cambiato.
L’Ucraina gli ha ricordato che la medicina è, innanzitutto, relazione umana con i pazienti, con i sanitari locali, con i membri dell’equipe di Emergency. Ha avuto modo di osservare situazioni estremamente critiche in cui sviluppare progetti con risorse limitate. Ma, soprattutto, gli ha fatto riscoprire l’importanza dell’empatia e della resilienza.
Parlandone con i colleghi, descrive questo periodo come una lezione di umiltà, “una riscoperta – spiega – del significato autentico del nostro lavoro: l’essere al servizio degli altri, sempre, non solo attraverso tecnologie sempre più fini e costose, sistemi informatici performanti o strutture ospedaliere nuove e perfette. Bensì, attraverso l’umanità di uno sguardo, il tempo di un colloquio, la speranza di un progetto”.
LE COMMUNITY HEALTH WORKERS
In Ucraina, Peretti ha potuto anche prendere atto dell’attività delle Community health workers (Chw), persone non sanitarie formate attraverso corsi di breve durata per monitorare il territorio in cui vivono, riconoscere i bisogni di salute e di cura delle persone, indirizzarle verso i servizi del sistema sanitario ucraino.
“Sono un esempio straordinario di organizzazione e solidarietà in un contesto bellico. Dimostrano come, – è la testimonianza del medico – anche in situazioni di estrema difficoltà, una comunità possa trovare la forza di prendersi cura di sé stessa: un modello di sanità partecipativa che potrebbe essere valorizzato anche nei nostri sistemi sanitari”.
La medicina non è solo scienza, ma anche rete di relazioni sociali che può fare la differenza nella vita delle persone. Con risorse limitate, le Chw permettono di sviluppare un sistema virtuoso ed efficace, attento ai bisogni di salute essenziali, fonte di educazione sanitaria e prevenzione di base.
“Sono, in concreto, una medicina high touch – osserva – di cui a mio avviso c’è sempre più bisogno, in contrapposizione al crescente sviluppo di una medicina high tech sempre più orientata al profitto”.
L’IDENTIKIT: MEDICO E VOLONTARIO
Marco Peretti, 53 anni, dopo la laurea nel 2007 ha frequentato il corso di Medicina generale. Al termine, ha prestato servizio dieci anni nell’assistenza al “Cottolengo” di Torino e altri due in una Asl per migranti privi del permesso di soggiorno. Sposato, con due figli, attualmente lavora al Dipartimento emergenza e accettazione dell’ospedale “Molinette” nel capoluogo piemontese. Dal 1995 è un volontario dell’Associazione Giobbe onlus, un’organizzazione che assiste i pazienti affetti da Aids e le loro famiglie, di cui è diventato, qualche anno dopo, anche referente clinico.
Massimo Boccaletti