“I dolori sono forti, è sera e non c’è la possibilità di chiamare un medico. Questo perché a Londra non c’è un dottore di base che ti ha in carico: si è assegnati a un centro sanitario pubblico e ogni volta ci si ritrova davanti un medico diverso, in una girandola dove nessuno conosce te e la tua storia clinica (mesi fa i giornali hanno «scoperto» che magari avendo un dottore unico si ridurrebbero tante morti in eccesso, ma questa è un’altra storia).”
È uno stralcio di un articolo del corrispondente del Corriere della Sera dal Regno Unito, Luigi Ippolito, che nei giorni scorsi ha raccontato la propria esperienza da paziente alle prese con la sanità britannica. “Un anno vissuto pericolosamente: non è il titolo di un film, ma la cronaca di 12 mesi passati nelle mani della sanità inglese, una giostra impazzita dove ci si gioca la vita”, scrive il giornalista nell’incipit dell’articolo-testimonianza.
“Non significa che non esiste più il GP (General Practitioner), solo che non ne hai uno tuo, ce ne sono tanti che fanno capo al tuo centro sanitario pubblico e ogni volta ti vede un medico differente. In questi centri territoriali ci si va su appuntamento, ma riuscire ad averne uno è un’impresa e dunque tutti vanno agli Accident&Emergency (A&E) degli ospedali, cioè i Pronto Soccorso, anche per le cose banali, perché è l’unico modo di farsi vedere da un medico (e per questo gli A&E sono un girone dantesco).”
Un racconto che sembra riproporre lo stesso scenario tratteggiato da chi, in Italia, teme il passaggio alla dipendenza dei medici di famiglia.
Il corrispondente prosegue: “A gennaio sto di nuovo male, sintomi diversi, sembra una cosa più seria. È pomeriggio e riesco a parlare a telefono con una dottoressa del centro medico pubblico: no, non fanno visite a domicilio, mi spiega, posso andare lì da loro, se sono in grado, ma comunque non fanno neppure gli esami del sangue. Non resta che il Pronto Soccorso: ma stavolta sono un po’ spaventato, e dopo le esperienze sconcertanti al Royal Free decido di andare in un ospedale privato.”
L’articolo completo è disponibile sul sito del Corriere della Sera. Per leggerlo cliccare qui