“I problemi sono tanti e il 20 novembre e stato indetto uno sciopero proprio per questo”. Risponde così Guido Quici presidente di Cimo, quando gli si chiede quali siano le difficolta che la sanità dovrà affrontare nei prossimi mesi. E poi spiega: “Il primo scoglio da superare e quello legato al blocco del tetto di spesa per l’assunzione di nuovo personale che dura dal 2004.
Contestualmente ci sono molte Regioni che, seppur non abbiano superato questo limite, comunque non assumono nuovi operatori sanitari. D’altro canto, ci sono situazioni paradossali, come quella dei medici cubani attivi in Calabria, contro cui noi come Cimo ci siamo costituiti in giudizio. Riteniamo, infatti, che i medici italiani, invece di andare all’estero, e sono circa 6mila quelli che fanno questa scelta, debbano rimanere in Italia”.
Altro tema poi e quello dei rinnovi contrattuali. “La nostra speranza – attacca Quici – e che il 2025 sia finalmente l’anno decisivo in questo senso. Noi parliamo di un contratto in vigore, quello ‘21-‘24, che tra due mesi scadrà e ancora non si sa nulla di quello che potrà accadere, né in termini normativi, e tantomeno in termini economici.
A questo punto, immaginiamo che le trattative sul nuovo contratto inizieranno non prima della meta del prossimo anno, e quindi l’esigibilità del contratto stesso non potrà che arrivare nel 2026, e quindi con un ritardo estremo per poter poi ottenere quegli incrementi salariali che sembrerebbe possano essere dell’ordine del 6 per cento, a fronte di un tasso inflattivo che nel triennio ‘21-‘24 e stato di oltre il 17 per cento”.
C’è infine un’altra questione molto delicata. “Come presidente di un sindacato che riunisce medici dipendenti – spiega sempre Quici – noi vorremmo uscire dalla Funzione pubblica, perché, forse non tutti sanno che il nostro contratto di lavoro e simile a quello dei presidi o dei dirigenti dei ministeri.
Vorremmo invece avere un contratto distinto, ma parallelo a quello dei medici di medicina generale e degli specialisti ambulatoriali, sotto l’egida del ministero della Salute. Se vogliamo davvero raggiungere un raccordo tra ospedale e territorio, tema del quale si parla da oltre 40 anni, allora – conclude Quici – bisogna puntare su professionisti che parlino la stessa lingua”.
Giuseppe Cordasco
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