Un centinaio di medici e odontoiatri volontari e oltre 240mila prestazioni sanitarie. È questo il bilancio del centro medico del Servizio missionario giovani, nato nel 1989.
La sera di domenica 18 febbraio nell’Auditorium del Sermig di Torino, si è tenuto un concerto di pianoforte del tutto singolare. Non tanto per la varietà del repertorio – Beethoven, Mozart e Chopin – quanto per l’insolito accostamento dei due pianisti protagonisti di serata.
Il primo ad esibirsi alla tastiera è stato Andrea Moiraghi, odontoiatra torinese specializzato in ortodonzia, che da volonteroso studente di musica prende lezioni da anni, esibendosi raramente in pubblico e con un certo timore: troppa audacia e troppo rischio, data la sua cultura musicale e pratica hobbystica.
Ben diverso lo stato d’animo di Enrica Pellegrini, l’altra protagonista della serata, raffinata professionista con esperienze pianistiche di livello internazionale, dinanzi a platee ben più esigenti.
La “strana coppia” ha dato vita a “Un concerto per la cura”, con cui il Sermig ha celebrato il 35° anno di fondazione del proprio Centro medico, dedicato a Giovanni Paolo II, il papa che durante il suo pontificato ebbe in grande considerazione Ernesto Olivero, fondatore della struttura.
ARSENALE DI PACE E DI CURA
Ex fabbrica di armi, trasformata in Arsenale della pace con il lavoro gratuito di migliaia di persone, il Sermig è oggi un monastero metropolitano, luogo di fraternità e di ricerca, casa aperta al mondo e all’accoglienza delle persone in difficoltà.
Casa per i giovani che cercano il senso per la propria vita, laboratorio di idee, luogo di incontro, di cultura dialogo e formazione.
Dedicato a Padre Michele Pellegrino, l’ex Arsenale è oggi una porta sul mondo aperta 24 ore su 24, 365 giorni all’anno. Un luogo di preghiera dove chiunque può sostare, incontrare il silenzio e Dio e che permette a chi lo desidera di restituire qualcosa di sé in tempo, professionalità, beni spirituali e materiali.
Dal 1989, anno di fondazione, il Centro offre cure mediche e odontoiatriche gratuite a quanti non posso accedere al Servizio sanitario nazionale. E sono tanti. Negli ultimi tempi sempre di più e non solo stranieri, per la nota crisi della Sanità pubblica.
QUASI UN OSPEDALE
Stando alle cifre ufficiali, grazie a un centinaio di medici che vi prestano servizio, il Centro ha erogato finora oltre 240 mila prestazioni. Tutte gratuite. A esercitare sono medici di varie specialità e poco importa se non sempre possono farlo in tutta pienezza.
Entrato nel Centro subito dopo la pensione, Vittorio Della Beffa, per una trentina d’anni chirurgo toraco-polmonare all’ospedale torinese “San Giovanni Bosco”, deve limitarsi a interventi assai meno complessi.
Il Centro non ha, infatti, una sua sala operatoria, pur avendo allestito vari studi per specialità diverse. “Si sta lavorando per creare almeno un ambulatorio chirurgico – dice Della Beffa –. A oggi mi limito a fare medicina generale, perché si può esser utili anche così”.
Assai più recente l’accesso di Rossana Cavallo, microbiologa e virologa, “ultima ruota del carro”, come scherzosamente si definisce. La dottoressa Cavallo ha accettato l’invito di una ex collega, incontrata per caso. “Qui mi trovo bene – dice – mi sento accolta”.
Oltre che dai pazienti del Centro, che tutti i medici descrivono come “rispettosi, animati da autentica compliance e gratitudine”, anche dai colleghi, con cui presta la sua attività in un clima decisamente “stimolante”.
IL DESIDERIO DI RESTITUIRE
Alla base c’è un sentimento unificante che anche il profano percepisce: è il cosiddetto “senso di restituzione”, quello che 60 anni fa spinse Olivero e i suoi volontari a dar vita al Sermig e che tuttora ispira le varie attività in cui si articola.
“Restituzione – spiega Maria Pia Bronzino, fisiatra che coordina il Centro – è la consapevolezza che la vita ci dà molto, ma ci chiede anche di restituire in qualche modo quel che abbiamo ricevuto”.
È dello stesso avviso anche Grazia Mannini, anestesista rianimatore. La mancanza di una sala operatoria, per lei come per Della Beffa, non è affatto un problema.
“Anzi, è un piacere ritrovarsi come medico internista – dice –. Anche se come rianimatore, io, internista, lo sono sempre stata: il nostro compito non è forse quello di tenere vivo il paziente?”.
Massimo Boccaletti