Si è tenuto lunedì 4 marzo, a Firenze, il funerale laico di Antonio Panti, per trent’anni presidente dell’Ordine dei medici del capoluogo toscano.
Medico di famiglia, fu segretario nazionale della Fimmg (Federazione italiana medici di medicina generale), socio fondatore della Simg (Società Italiana di Medicina Generale e delle Cure Primarie) e, come presidente di Ordine, componente di diritto del Consiglio nazionale-Assemblea nazionale dell’Enpam.
Esempio per generazioni di medici e punto di riferimento del dibattito sulla sanità pubblica e sull’etica, ha fatto parte fino all’ultimo della Consulta deontologica della Fnomceo.
Avrebbe compiuto 87 anni il prossimo 31 maggio.
Ciao Antonio
Se n’è andato un uomo di grande intelligenza, acuto, a volte duro, ma equo. Ho conosciuto Antonio Panti negli anni ’80 alla scuola della Simg per animatori e ricercatori di medicina generale di Artimino. Da quel momento abbiamo sempre mantenuto i contatti.
Nel 1995, eletto segretario nazionale della Fimmg colmando il vuoto lasciato da Mario Boni, fu lui a presentarmi al congresso di Villasimius come candidato a entrare nel comitato direttivo dell’Enpam, per raccogliere il testimone previdenziale dello scomparso segretario.
È ad Antonio Panti che devo la visione globale del sistema, il concepire la previdenza come inscindibile dalla visione professionale, sindacale e ordinistica che lui incarnava.
Era molto sensibile ai temi dell’universalismo dell’accesso al Ssn e del fatto che si è tutti uguali di fronte alla malattia.
Il ricordo più struggente è legato all’ultima volta in cui l’ho sentito dopo il suo intervento. Da tracheotomizzato, raccontò clinicamente quello che aveva avuto, parlando con la voce di chi sapeva che si stava spegnendo.
“Abbiamo ancora bisogno di te, non sei clonabile”, gli avevo risposto. È lì che il discorso era virato sulla professione, sul Servizio sanitario nazionale e sul ruolo della professione medica e incredibilmente la voce gli si era riaccesa.
Aveva una passione per la medicina, la professione e l’etica che mi fa dire che se n’è andato un padre.
La medicina italiana perde la sua appassionata sensibilità e la sua lucida sapienza. Nei tempi moderni ci ha sempre indicato la via dell’essere medico. Dobbiamo agire per onorarne la traccia.
Alberto Oliveti, Presidente della Fondazione Enpam