Ha avuto un certo seguito, negli ultimi giorni, una lettera pubblicata da Quotidiano Sanità che definiva i medici e i dentisti “pecore da tosare”. Nella sua risposta, però, l’Enpam ha fatto i conti su quanto riceve davvero il pensionato. E ha svelato una storia diversa.
COME STANNO DAVVERO LE COSE
Questa la risposta a firma dell’Ufficio stampa dell’ente di previdenza: «Gentile Direttore, visto che sul giornale sono comparse metafore sballate (Enpam infatti non tosa nessuno, tantomeno delle pecore), proviamo a raccontare i fatti parlando di arance e mandarini. Facciamo questo per rispetto della privacy del lettore che ha definito le pensioni miserrime e ridicole, senza però rendere pubblico quanto prende e quanto ha versato.
Le cifre dunque le diamo noi sotto metafora. Nel corso della sua intera vita prima di andare in pensione, il Dott. Cavalli ha pagato all’Enpam 82 arance; da quando è pensionato l’ente in cambio gli sta dando 10 arance all’anno.
Dopo essere andato in pensione, – si legge ancora nella nota di replica – il Dott. Cavalli ha comunque continuato a esercitare. Per il suo primo anno di lavoro da libero professionista-pensionato ha pagato all’Enpam circa 18 mandarini, e a fronte di questo versamento, l’ente – immediatamente dall’anno dopo – ha adeguato la sua pensione pagandogli sempre le 10 arance, e aggiungendo, in più, un mandarino».
INPS PRETENDEREBBE PIÙ DEL DOPPIO
La risposta continua precisando: «I lettori sanno che, se non fosse stato iscritto all’Enpam, il Dott. Cavalli per il suo primo anno di lavoro da pensionato avrebbe dovuto pagare 44 mandarini all’Inps? E sanno che a fronte di quei 44 mandarini (invece dei 18 dovuti all’Enpam), l’istituto pubblico l’anno dopo non gliene avrebbe ridato neanche uno?».
CONTRIBUTI A VANTAGGIO DEI GIOVANI
«Sì, perché è lo Stato (e non l’Enpam, si badi bene) – continua la nota – ad aver introdotto la contribuzione obbligatoria per i pensionati che continuano a lavorare, con l’obiettivo principale di riequilibrare il sistema a favore delle generazioni più giovani.
Nella visione pubblica, infatti, i supplementi di pensione non sono un diritto da garantire, ma un effetto collaterale possibilmente da evitare. La riprova ne è che all’Inps il percorso per ottenere un supplemento è a ostacoli (si ha solo se ci si ricorda di chiederlo, e in ogni caso si può fare domanda una sola volta dopo due anni e poi non prima di altri cinque anni)».
TUTELA DEI PENSIONATI
«L’Enpam, invece, – si legge ancora nella risposta – per i liberi professionisti pensionati ha mantenuto la contribuzione al minimo consentito dalla legge e liquida i supplementi ogni anno, in automatico.
Inoltre, chi come il Dott. Cavalli pensa erroneamente di versare contributi all’Enpam “in assenza assoluta di contropartite”, sappia che senza chiedergli un centesimo più, stiamo pagando per lui anche una polizza per la non autosufficienza (che dà diritto a 1.200 euro al mese esentasse a vita se avesse bisogno di Long term care), gli stiamo dando tutele per le calamità naturali, sussidi in caso avesse una condizione di disagio, una rete di protezione per i familiari superstiti, e tutto quello che diamo a chi ha contribuito alla Quota A.
Non ci stupisce quindi che il Dott. Cavalli, dell’Enpam “non possa che parlare e pensare bene”. Ha tutte le ragioni per farlo».