La medicina di base fulcro della sanità è stata bistrattata. Molti colleghi non vogliono fare il medico di base, gli stipendi sono i più bassi d’Europa.
Sono un medico di medicina generale. Ho 64 anni e sono laureato dal 1983. Qui in Veneto mancano medici di base. Fra due mesi altri due colleghi di 70 anni vanno in pensione e l’Asl non sa che pesci prendere. I pazienti senza medici continuano a bussare alle nostre porte anche da paesi limitrofi. Ora ho aumentato il massimale, da ieri sono a 1800 pazienti, ma le cose sono peggiorate.
La situazione è grave e i nostri politici dormono e hanno dormito nonostante avessimo continuato a dirlo.
Fate qualcosa fatevi sentire. Non tacete.
Pasquale La Gamma, Verona
Gentile Collega,
la tua è la lettera dolente di chi assiste sconfortato alla resa dei conti. Quella, voluta e annunciata, di un sistema che ha deliberatamente disinvestito sulla medicina generale, vera chiave di volta di ogni servizio sanitario pubblico efficiente, per dedicare risorse ad altri settori dando nel contempo spazio al privato.
Si è volutamente abbandonato ciò che costa poco e rende molto in tema di salute pubblica, come universalmente noto, favorendo di fatto uno smantellamento programmato.
Ora si tenta di minare il rapporto di fiducia tra persona e medico di scelta. Si è postulato che un medico che non risponde all’amministratore di turno, ma al suo assistito, è inaffidabile. Oggi si sponsorizza la fiducia elettiva nella medicina di comunità, chiunque capiti. Per la difesa della salute si è puntato sul difensore d’ufficio! Si è giocato sull’inversione causa-effetto, definendo sgangherata la rete della medicina di famiglia, e passacarte scansafatiche i suoi attori, dopo averla dequalificata per anni.
Ma la gente sa la verità, in barba alla “disinformazia” dei suoi governanti politici o all’ipertrofia dei suoi decisori sanitari, opportunamente appoggiata dalla stampa amica.
Non ha bisogno, la gente, del riscontro di un immutato consenso dell’indagine di Piepoli o De Rita, per capire di chi potersi fidare.
Il problema è che ora la fontana della medicina di famiglia si è spenta, dalla pletora si è passati alla penuria selettiva, oggi un neolaureato in medicina studia per specializzarsi, non è più considerato come medico fatto e finito pronto al lavoro.
Non parliamo poi dell’Accademia, di come prepara i futuri medici di medicina generale e di come li (dis)incentiva a questa professione.
Per aprire uno studio professionale realmente all’altezza dei tempi e della tecnica, facendosi carico di tutte le spese indispensabili, oggi, la quota capitaria assegnata è di cinquanta euro l’anno ad assistito. Chiedetevi se il vostro parrucchiere di fiducia l’accetterebbe per servirvi tutto l’anno.
Ci vorranno anni per uscirne.
Alberto Oliveti
Presidente Fondazione Enpam