“Non chiamatemi morbo” è la mostra fotografica “parlante” e itinerante, inaugurata al Castello di Novara lo scorso 17 novembre.
Organizzata dalla Confederazione Parkinson, è stata ideata con l’obiettivo di sensibilizzare il pubblico su una malattia sempre più diffusa, ma “non contagiosa”.
L’iniziativa è nata combattere i pregiudizi e luoghi comuni che avvolgono ancora malati e familiari, per informare su come sia possibile convivere con la malattia avendo una buona qualità di vita.
“Il Parkinson è un morbo tanto diffuso quanto poco conosciuto. È una malattia che non andrebbe nascosta né a sé stessi né agli altri, piuttosto diagnosticata per tempo e affrontata con cure specifiche”, spiegano i volontari di Parkinson Italia Onlus. “Non se ne guarisce – aggiungono – ma è comunque possibile godere di una vita lunga e di qualità”.
“Non chiamatemi morbo” è una mostra fotografica “parlante”, che ha l’obiettivo di combattere i pregiudizi e luoghi comuni che avvolgono ancora malati e familiari, per informare su come sia possibile convivere con la malattia avendo una buona qualità di vita e comunicare che il Parkinson non è un “morbo” contagioso.
La mostra sarà visibile fino al 3 dicembre.
VERSO UN’ASSISTENZA MULTIDISCIPLINARE
In occasione della Giornata nazionale sul Parkinson, sempre a Novara, sabato è stato organizzato il convegno “Modello di Cura Integrativa: Parkinson, i tre pilastri del benessere: arte, dieta e sport”.
“La mostra e il convegno servono per sensibilizzare sulla malattia, sui bisogni di questi pazienti e dei loro familiari”, spiega Fabrizio Pisano, direttore della Neuro-riabilitazione del Policlinico San Marco, a Zingonia (Bergamo).
L’obiettivo del Convegno, spiega Pisano, è quello di presentare l’impegno – l’equilibrio tra le persone che hanno il Parkinson, il caregiver e i sanitari – e di uscire dai classici schemi legati al morbo. L’intento è sottolineare l’importanza di curare lo spirito, la mente e il fisico per convivere con la malattia e frenarne gli effetti. “Per questo, – continua – durante il convegno si si parlerà di arte, di danza, di sport”.
Ma il convegno e la mostra puntano a sensibilizzare i cittadini oltre a informare possibili investitori e istituzioni su quale sia l’assistenza necessaria a queste persone. Pisano, con il Comune di Novara e altre istituzioni locali, sta cercando di realizzare un centro per la cura e la presa in carico dei pazienti parkinsoniani in modo globale, attraverso l’assistenza multidisciplinare.
COME NASCE IL PROGETTO FOTOGRAFICO
La mostra – nata dall’idea Giangi Milesi, presidente di Confederazione Parkinson Italia – è un viaggio fotografico, ma anche una serie di racconti da ascoltare mentre si guardano le fotografie (scaricando una App e inquadrando un QR-code) ed un audio libro con 43 storie di persone che convincono con il Parkinson. Gli scatti sono di Giovanni Diffidenti, i testi dei racconti sono di Roberto Caselli e vengono recitati da Lella Costa e Claudio Bisio.
“L’idea di questo progetto nasce alcuni anni fa con Giangi Milesi”, ci racconta Giovanni Diffidenti, fotogiornalista impegnato a documentare guerre e altre situazioni legate al sociale, come quello realizzato sull’Aids in Africa.
“All’inizio siamo partiti dai caregiver familiari e poi, stando a contatto con le persone con Parkinson, ho capito che ognuno ha il suo Parkinson e perciò ognuno lo affronta in modo diverso cercando di trovare un qualcosa che lo faccia star bene”.
La mostra e il libro raccontano queste storie.
C’è quella di Alessandro, che dopo la diagnosi ha deciso di iscriversi a un corso per diventare clown-dottore; quella di Lorenzo, che ha iniziato a disegnare; quella di Fabiola e la sua voglia di giocare a rugby; quella di Roberto sul ring; quella di Stefania, che ha contratto il Parkinson da giovane e che ha deciso di tatuarsi la molecola della levodopa sulla caviglia. E poi quella più famosa, di Vincenzo Mollica, giornalista del Tg1.
“La scelta delle storie da raccontare è stata casuale”, continua Diffidenti. “Ci siamo sentiti al telefono, poi incontrati, e ognuno mi ha raccontato il suo modo di stare bene. Poi, insieme, abbiamo cercato di rappresentarlo in uno scatto. Molte volte sono stati loro a suggerirmi la situazione. Come dico spesso, mi sono tolto le scarpe e sono entrato a casa loro in punta di piedi”.
“Difficile indicare gli scatti preferiti”, confessa Diffidenti, “sono le loro storie, il loro vissuto ad avermi colpito”.
Tra queste quella di Riccardo Merisio. “Credo l’unico ritratto in cui non si riconosce la persona perché completamente mosso. Con Riccardo ne è nata un’amicizia, da tre anni ci troviamo spesso, è una persona eccezionale con una voglia di combattere infinita”.
“L’idea della foto – racconta – nasce proprio stando con lui. Per ‘distrarre’ la malattia, Riccardo scrive o guarda programmi televisivi impegnativi, dove si deve rimanere concentrati. In questo modo gestisce il suo tremore. Nel momento in cui si distoglie da queste attività lo vedi ricominciare a tremare, tremare con tutto il corpo. L’idea della fotografia nasce da questo. Ho preso il cavalletto e impostato un tempo di scatto lungo. La difficoltà è stata che Riccardo non si muove sempre allo stesso modo, con lo stesso ritmo. Volevo cercare di ritrarre il movimento, ma rendere comunque visibile il corpo, fare capire che è una persona”.
Norberto Maccagno
Clicca qui per informazioni sul progetto Non chiamatemi morbo, o per chiedere di portare la mostra nella propria città.
l libro può essere ordinato direttamente all’Associazione a questo link o sulle principali piattaforme online.