Il 20 febbraio 2020 è il giorno in cui, a Codogno, viene scoperto il “paziente uno”, il 38enne infettato dal virus Sars-CoV-2. Una data divenuta il simbolo dell’inizio della pandemia nel nostro Paese e, per questo motivo, scelta per celebrare ogni anno la Giornata nazionale del personale sanitario, sociosanitario, socioassistenziale e del volontariato. Da allora sono passati solo quattro anni, ma quel periodo oggi ci sembra lontanissimo, come se – inconsciamente – avessimo rimosso, archiviato quel periodo così traumatico.
Per celebrare tutti quei sanitari in prima linea che, grazie alla scienza e al senso del dovere, hanno salvato migliaia di vite, abbiamo voluto ricordare il loro eroico lavoro attraverso le foto dei fotogiornalisti dell’agenzia Ansa. Perché, come scrive Mario Calabresi – giornalista e grande appassionato di fotografia – nella prefazione del suo libro “Ad occhi aperti”, “ci sono fotografie capaci di segnare un’epoca, immagini talmente forti da muovere sensibilità e coscienze pubbliche”.
E così è stato anche per la pandemia. Più dei filmati sull’Italia in lockdown trasmessi ininterrottamente dai telegiornali, a creare la consapevolezza della situazione drammatica e della necessità di rispettare le regole, sono state le foto in prima pagina sui quotidiani online e cartacei.
Quelle delle bare sui camion nelle strade di Bergamo, delle città deserte, dei pazienti con i caschi nei letti d’ospedale, delle corsie strapiene, degli abbracci attraverso i vetri delle Rsa, dei medici, gli infermieri, il personale sanitario stremato – irriconoscibile all’interno delle tute protettive – con gli occhi stanchi e stravolti, dietro le maschere protettive.
Per non far mancare la nostra testimonianza, abbiamo selezionato alcuni tra i migliaia di scatti che i fotografi della principale agenzia giornalistica italiana hanno realizzato e sentito tre fotoreporter che ci hanno raccontato le sensazioni, i ricordi e le difficoltà di quelle giornate, trascorse nel tentativo di immortalare lo sforzo dei tanti medici e sanitari che quella pandemia l’hanno guardata dritta negli occhi.
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Il rito della vestizione raccontato da Alessandro Di Meo
Fotografo Ansa, i suoi scatti sono stati pubblicati in tutto il mondo. Tra questi, c’è anche quello della cupola di San Pietro colpita dal fulmine nella sera in cui papa Ratzinger diede le dimissioni.
Tra le sue foto, abbiamo scelto quella scattata all’ospedale San Filippo Neri di Roma l’8 aprile 2020. L’immagine ritrae un sanitario che aiuta a vestire un collega e gli scrive il nome sulla schiena, come fosse una tuta di una squadra sportiva.
“Mia moglie è medico – spiega Di Meo – la vedevo uscire al mattino e tornare a notte fonda. Mi raccontava delle ansie, della difficoltà di fare il suo lavoro, del rapporto con i pazienti, dell’essere allo stesso tempo medico, psicologo, confidente, quasi un parente dei malati. Allora ho cercato di ritrarre il lavoro dei sanitari in tutti questi aspetti. Grazie all’ufficio stampa dell’Ospedale, ho avuto la possibilità di trascorrere molto tempo nei reparti a contatto con medici e pazienti, anche io ‘bardato’ come loro, comprendendone meglio le difficoltà. Dal punto di vista tecnico – conclude – ho utilizzato un’ottica molto corta e una macchina piccola, per non attirare troppo l’attenzione, per non disturbare”.
Se gli chiediamo cosa ricorda di quel periodo, ci risponde con una battuta . “Una bellissima Roma deserta. Scherzi a parte – conclude Di Meo – dal punto di vista professionale è stato fantastico, ho realizzato delle foto di Roma deserta irripetibili. Certo, pensando a tutto quel soffrire, avrei preferito farne di meno”.
La solitudine degli anziani reclusi mitigata dai sanitari e raccontata da Filippo Venezia
Il sanitario che abbraccia una persona anziana ripreso dall’esterno della clinica in cui è confinata, è uno degli scatti che abbiamo scelto tra quelli di Filippo Venezia, fotoreporter freelance che collabora con l’Ansa. La foto, scattata il 12 maggio 2021 nel Rsa “Casa di Dio”, a Brescia, racconta tutta l’umanità del personale medico e sanitario, nonché la solitudine degli ospiti delle residenze per anziani.
“Fin dal primo giorno di lockdown – racconta il reporter – sono uscito con la macchina fotografica per raccontare cosa stava succedendo e non mi sono più fermato”.
Venezia è di Bergamo, una delle zone dove il Covid c’è andato più duro. Tra le tante situazioni ritratte, un posto da protagonista ce lo hanno ovviamente avuto lo sforzo dei medici. “Dei sanitari ho cercato di raccontare le difficoltà nel svolgere il loro compito, la loro umanità. Ricordo bene i primi giorni: mancavano le mascherine e i camici, anche io giravo con una sola mascherina azzurra. Per fortuna non mi sono ammalato”.
Quando gli chiediamo un ricordo di quel periodo, il reporter dell’Ansa non ha dubbi. “Erano i primi giorni di lockdown e sono andato a fare un servizio all’ospedale di Bergamo. Sono arrivato verso sera, ho parcheggiato nel piazzale deserto e quando sono sceso dall’auto sono stato colpito dal silenzio tombale. Mi è venuta la pelle d’oca, lo ricordo ancora oggi”.
Dal punto di vista tecnico, Venezia ha utilizzato una macchina mirrorless “compatta e poco invasiva, per non dare nell’occhio”. “A volte è difficile fare il nostro lavoro – dice – . Noi siamo lì per raccontare, non certo per divertirci, ma devo dire che con i medici ho sempre avuto un ottimo rapporto”.
Lo sguardo umano di un medico nello scatto di Tania Cristofari
“Era una situazione nuova e ho cercato di documentare un po’ tutto quello che accadeva intorno all’emergenza coronavirus, negli ospedali e fuori”. Il racconto è quello di Tania Cristofari, fotografa freelance dell’agenzia Contrasto. Tra i suoi scatti abbiamo selezionato quello che ritrae un medico che effettua il tampone a un paziente seduto in auto in un centro vaccinale romano e quello della vestizione di un medico.
“All’inizio ho trovato molte difficoltà a raccontare il lavoro dei sanitari e la situazione dei pazienti perché per entrare in ospedale, e ancora di più nei reparti di terapia intensiva, noi freelance dovevamo procuraci tute e Ffp2, in quel periodo introvabili. Quindi le prime foto le ho fatte dall’esterno delle strutture, come nel caso dell’hub vaccinale ritratto in uno degli scatti che avete scelto”.
Di quel periodo e del suo lavoro a contatto con i sanitari, Tania ricorda la paura di ammalarsi e soprattutto quando tornava a casa, la svestizione e “le infinite docce” per evitare di portare il virus in casa.
“Ricordo perfettamente e ancora mi commuovo – racconta Cristofari – il senso di responsabilità con cui i medici e i sanitari affrontavano quelle giornate, senza tirarsi indietro, senza sottrarsi alla propria missione, senza lagnarsi della stanchezza, prendendosi cura dei pazienti, malgrado il rischio e la paura”.
Poi ci fa notare uno dei suoi scatti che vi proponiamo, realizzato l’8 aprile del 2020 nel reparto di terapia intensiva dell’Ospedale San Filippo Neri di Roma, in cui un’infermiera aiuta il medico a vestirsi. “Fate attenzione – ci dice – alla gravità solenne dell’infermiera che sa di dover svolgere alla perfezione la vestizione del dottore per tutelarne l’incolumità. E poi lo sguardo del medico: consapevole, preoccupato, terribilmente umano”.
Norberto Maccagno
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