I medici di famiglia in Italia sono pochi, sovraccarichi di pazienti e soggetti a un progetto di riforma che non sarà la soluzione, né per loro né per i cittadini. È il quadro desolante che emerge da un recente report della Fondazione Gimbe, dedicato alle criticità della medicina generale.
Secondo i dati 2023 del ministero della Salute, citati dal Gimbe, oltre la metà dei medici di famiglia (il 51,7 per cento) ha più di 1.500 assistiti. La misura straordinaria di superare la soglia del massimale è quindi diventata diffusamente prassi consolidata in mezza Italia.
Un dato che si coniuga con quello sulla carenza di medici di medicina generale, che in Italia è a livelli decisamente critici. Sono oltre 5.500 i posti vacanti e per i cittadini diventa sempre più difficile trovare un medico di famiglia, soprattutto nelle regioni più grandi.
I pensionamenti sono numerosi e il ricambio generazionale è insufficiente, si evidenzia nello studio, senza considerare che la professione sta perdendo attrattività.
Il quadro è reso più complicato da una popolazione nazionale che invecchia: nel 2023, infatti, gli over 65 erano oltre 14,2 milioni, più della metà affetti da almeno due malattie croniche.
PROGRAMMAZIONE INSUFFICIENTE
Ogni cittadino avrebbe diritto a un medico di famiglia tramite il Servizio sanitario nazionale (Ssn), ma il medico opera in regime di convenzione con le Asl, seguendo regolamenti nazionali e regionali. La carenza attuale deriva dunque, secondo il report Gimbe, da una programmazione complessiva insufficiente, che non ha previsto un adeguato numero di nuovi medici per rimpiazzare i pensionamenti. Proprio a questo proposito, la Fondazione Gimbe ha analizzato la situazione, evidenziando che il fabbisogno reale varia a seconda delle aree territoriali e che esistono forti disomogeneità tra regioni.
C’è da considerare inoltre, che negli ultimi 40 anni, l’invecchiamento della popolazione ha portato a un aumento dei pazienti con patologie croniche, rendendo insostenibile il limite di 1.500 assistiti per medico, stabilito nel 1984. Oggi, in molte regioni, più della metà dei medici di famiglia supera questo massimale, compromettendo la qualità dell’assistenza. Inoltre, il recente innalzamento del rapporto ottimale medico-popolazione da 1 ogni 1.000 abitanti a 1 ogni 1.200 è stato criticato perché, secondo la Fondazione Gimbe, rischia di nascondere il problema, anziché risolverlo.
PIÙ DELLA METÀ HA OLTRE 1.500 PAZIENTI
Tra il 2024 e il 2027 poi, circa 7.345 medici di famiglia raggiungeranno l’età pensionabile, con un impatto significativo sulle regioni più popolose. Il numero di borse di studio per la formazione specifica in medicina generale, si legge nel report, è aumentato solo negli ultimi anni grazie a finanziamenti straordinari, ma dal 2022 è di nuovo in calo, con un divario crescente tra borse disponibili e candidati. Nel 2024, in alcune regioni, come Marche e Molise, il numero di candidati è stato inferiore ai posti disponibili. Un dato che mette in evidenza un crescente disinteresse per la professione.
Dal 2019 al 2023, il numero di medici di medicina generale è calato del 12,8 per cento, con una diminuzione significativa soprattutto in Sardegna. Il numero medio di assistiti per medico varia molto tra le regioni e, come accennato, più della metà dei medici supera quota 1.500.
L’Accordo collettivo nazionale della medicina generale, ricorda il Gimbe, fissa a 1.500 il numero massimo di assistiti per medico, con la possibilità di aumentarlo fino a 1.800 in casi particolari e, tramite altre deroghe, anche oltre. Stando ai dati del ministero della Salute, il 51,7 per cento dei medici di medicina generale ha più di 1.500 assistiti; il 30,7 per cento tra 1.001 e 1.500.
Nel particolare, osserva il Gimbe, il massimale di 1.500 assistiti è superato da oltre la metà dei medici in dodici territori, tra regioni e province autonome. La situazione più critica viene segnalata in Veneto e Lombardia, dove la percentuale dei medici “ultra-massimalisti” è rispettivamente del 68,7 e 74 per cento. Seguono la provincia di Bolzano (65,1 per cento), Valle d’Aosta (61,1 per cento), Sardegna (60,6 per cento), Campania (58,8 per cento), Emilia-Romagna (57,6 per cento), provincia di Trento (56,1 per cento), Marche (55,5 per cento), Piemonte (54,1 per cento), Friuli Venezia Giulia (52,4 per cento), Liguria (50,7 per cento).
Una condizione di sovraccarico che, osserva il Gimbe, per i medici riduce il tempo da dedicare ai pazienti e, di converso, limita la libera scelta dei cittadini sul medico cui accordare la fiducia.
La carenza complessiva di medici è stimata in 5.575 unità, con le situazioni più critiche, come già evidenziato, soprattutto nelle regioni più grandi, come Lombardia, Veneto, Campania, Emilia-Romagna, Piemonte e Toscana.
RIFORMA MIOPE E PAZIENTI A RISCHIO
Il Governo da parte sua, fa notare il report Gimbe, propone di trasformare i medici di famiglia in dipendenti del Ssn per garantirne la presenza nelle strutture territoriali, ma senza presentare un’analisi dettagliata degli impatti economici e organizzativi. Sebbene sia condivisibile l’idea di una specializzazione in medicina generale, secondo il Gimbe il cambiamento non può limitarsi alla contrapposizione tra dipendenza e convenzione. La mancanza di coinvolgimento dei medici nella riforma, infatti, potrebbe condannarla addirittura al fallimento.
In sostanza, conclude con preoccupazione lo studio Gimbe, errori di programmazione e scelte politiche inadeguate hanno portato alla crisi attuale, rendendo la professione sempre meno attrattiva. Le misure adottate, come l’innalzamento dell’età pensionabile e l’aumento del massimale di assistiti, non hanno risolto il problema. In assenza di soluzioni efficaci, si rischierà di lasciare milioni di persone senza medico di famiglia, peggiorando la qualità dell’assistenza sanitaria e soprattutto mettendo in pericolo la salute dei cittadini più fragili.
Giuseppe Cordasco