L’Italia è divisa dalle possibilità di cura, il sistema sanitario pubblico si indebolisce e il privato cresce. È quanto emerge dal rapporto “La mobilità sanitaria interregionale” curato dalla Fondazione Gimbe appena pubblicato.
GEOGRAFIA DELLA MOBILITÀ
La mobilità sanitaria in Italia evidenzia un forte squilibrio tra Nord e Sud, con Lombardia (22,8 per cento), Emilia-Romagna (17,1 per cento) e Veneto (10,7 per cento) come principali destinazioni per i pazienti che si spostano per curarsi.
Queste tre Regioni raccolgono oltre il 94 per cento del saldo attivo della mobilità sanitaria, mentre Abruzzo, Calabria, Campania, Sicilia, Lazio e Puglia insieme costituiscono il 78,8 per cento del saldo passivo, ovvero la differenza tra risorse ricevute e versate.
Non è un caso dunque che nel 2022 – anno a cui si riferiscono i dati del rapporto – la mobilità sanitaria interregionale abbia raggiunto la cifra record di 5,04 miliardi, il livello più alto mai registrato e superiore del 18,6 per cento a quello del 2021 (4,25 miliardi).
Il rapporto mette in luce che questa disparità geografica non è più solo una criticità, ma una vera e propria frattura strutturale del Servizio sanitario nazionale, aggravata dall’approvazione della legge sull’autonomia differenziata, che rischia di consolidare le diseguaglianze nel diritto alla salute.
Tra l’altro, il fenomeno ha aspetti ancora più complessi, considerando che anche le Regioni più attrattive registrano una mobilità passiva, con pazienti che si spostano verso quelle vicine per ricevere cure di migliore qualità.
Questo dimostra che il problema della mobilità sanitaria non si limita solo alla fuga di pazienti dal Sud, ma coinvolge anche il Nord, con spostamenti verso poli sanitari d’eccellenza.
Le Regioni con il maggior debito per cure fuori dal territorio sono Lazio (11,8 per cento), Campania (9,6 per cento) e Lombardia (8,9 per cento), con un esborso superiore ai 400 milioni ciascuna.
Puglia, Calabria e Sicilia hanno visto un ulteriore peggioramento del saldo negativo, superando i 300 milioni di euro rispetto al 2021. Questo fenomeno, non solo aggrava le difficoltà economiche delle Regioni in deficit, ma aumenta anche la pressione sulle strutture sanitarie delle Regioni ospitanti, che devono gestire un afflusso sempre maggiore di pazienti provenienti da fuori.
CRESCE IL PRIVATO
Nel rapporto della Fondazione Gimbe, tra le altre cose, si legge che più della metà delle spese per ricoveri e prestazioni specialistiche fuori Regione (54,4 per cento) viene assorbita dal settore privato accreditato, pari a 1.879 milioni di euro, mentre 1.573 milioni (45,6 per cento) finiscono nelle strutture pubbliche.
Il privato è particolarmente rilevante in Molise (90,6 per cento), Lombardia (71,4 per cento), Puglia (70,7 per cento) e Lazio (62,4 per cento), mentre ha una presenza inferiore al 20 per cento in Valle d’Aosta, Umbria, Liguria, Bolzano e Basilicata.
Questo dato dimostrerebbe l’indebolimento del settore pubblico, che fatica a rispondere alla domanda di cure e spinge molti pazienti a rivolgersi verso strutture private, talvolta con costi elevati.
Secondo i dati dell’Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali (Agenas), che sono stati una fonte importante del rapporto Gimbe, il 78,5 per cento della mobilità sanitaria riguarda ricoveri scelti direttamente dai pazienti (mobilità effettiva), il 17,4 per cento è dovuto a emergenze (mobilità casuale) e il 4,1 per cento deriva da incongruenze tra domicilio e residenza (mobilità apparente).
Inoltre, nel 2022, solo l’11,6 per cento dei ricoveri è avvenuto in strutture di prossimità, evidenziando la necessità per molti pazienti di affrontare lunghi spostamenti, con costi e disagi significativi.
Per molti malati e le loro famiglie, ciò comporta anche difficoltà logistiche, come la necessità di soggiornare in altre città per lunghi periodi, aggravando ulteriormente il peso economico e psicologico delle cure.
Per quanto riguarda poi la specialistica ambulatoriale, oltre il 93 per cento delle prestazioni erogate in mobilità appartiene a tre categorie: terapie (33,9 per cento), diagnostica strumentale (31,6 per cento) e analisi di laboratorio (27,9 per cento).
L’alta percentuale di diagnostica e prestazioni di laboratorio, indica che spesso i pazienti devono viaggiare anche solo per ottenere esami o terapie di base, che dovrebbero essere disponibili più facilmente a livello locale.
SSN A RISCHIO
Secondo Nino Cartabellotta, presidente della Fondazione Gimbe, la mobilità sanitaria rappresenta un fenomeno dalle gravi implicazioni sanitarie, economiche ed etiche, “segnale di allarme che richiede interventi urgenti per garantire un equo accesso alla salute su tutto il territorio nazionale. Senza investimenti mirati e riforme coraggiose, la mobilità sanitaria rischia di penalizzare ulteriormente i cittadini più fragili, compromettendo l’universalità del Servizio sanitario nazionale.
Inoltre – avverte ancora Cartabellotta -, l’autonomia differenziata potrebbe accentuare le diseguaglianze tra Nord e Sud, con un possibile effetto boomerang sulle Regioni più attrattive, che potrebbero avere difficoltà a garantire i Livelli essenziali di assistenza (Lea) ai propri residenti”.
Tra i possibili approcci individuati dal report Gimbe per ridurre queste disparità, vengono citati il potenziamento delle infrastrutture sanitarie nelle Regioni meno sviluppate, l’aumento del personale medico qualificato e la promozione di politiche che incentivino la permanenza dei pazienti nelle proprie Regioni, garantendo cure di qualità a livello locale.
Giuseppe Cordasco
Dati di maggior dettaglio e grafici sono disponibili in questa pagina, mentre Il report integrale è ottenibile inserendo i propri dati su www.gimbe.org/mobilita2022