Indagare la percezione sociale dell’Hiv, ma anche fornire un’opportunità per ripensare il modo in cui la società affronta la malattia, è l’obiettivo di “Somebody to love”, la mostra fotografica visitabile gratuitamente fino a domenica 27 ottobre al Pac, Padiglione d’arte contemporanea di Milano.
La mostra, che è al centro del progetto sociale ideato dall’associazione Ri-scatti Odv e promosso dal Comune di Milano, si è concentrata sulle storie di otto persone con Hiv, sette uomini e una donna, che hanno scelto di raccontarsi attraverso la fotografia (280 quelle in mostra).
“È stata l’occasione per descrivere cosa vuol dire vivere con Hiv nel 2024. Le foto illustrano la normalità, l’intimità e le emozioni di persone. Un modo per ricordare che la persona con Hiv è una persona, non il virus che la abita”, dice Massimo Cernuschi, infettivologo e presidente dell’Associazione solidarietà Aids, volontario presso Milanocheckpoint, associazioni che collaborano con Ri-scatti.
Le loro foto, spiegano da Ri-Scatti, sono il frutto di un percorso formativo supervisionato da fotografi professionisti. Storie reali che testimoniano i diversi aspetti del vivere oggi con l’Hiv: la quotidianità di Giovanni, l’affettività di Pic(colo), la rivalsa sullo stigma di Andrés, la forza di Francesco, la creatività pop di Daphne, ma anche i timori di Alberto, il senso di colpa di alchÆmist e la sessuofobia di Soma.
HIV SFIDA COMPLESSA
L’Hiv continua a rappresentare una delle sfide più complesse per la salute pubblica, sia a livello nazionale che globale. Secondo i dati del Centro operativo Aids dell’Istituto superiore di Sanità, nel 2022 in Italia sono state segnalate 1.888 nuove diagnosi di infezione, con un’incidenza di circa 32 nuovi casi ogni milione di abitanti.
Sebbene negli ultimi dieci anni si sia registrata una graduale diminuzione, l’ultimo biennio post-pandemia ha visto un leggero aumento, probabilmente dovuto a una sotto-diagnosi durante il periodo del Covid-19.
“I progressi scientifici – spiega Cernuschi – hanno trasformato il virus in una condizione cronica e gestibile, come evidenziato dal principio “U=U” (Undetectable equals Untransmittable), secondo cui una persona in terapia stabile da almeno sei mesi con carica virale non rilevabile, non può trasmettere il virus”.
Dal piano clinico, la battaglia si sposta anche sul piano culturale.
“Oggi si deve combattere lo stigma non solo verso le persone in terapia per Hiv, si deve lavorare per eliminare la paura di essere giudicati se si fa il test, se si chiede di seguire una profilassi preventiva e questo vale anche per i miei colleghi medici e i sanitari in genere”, continua l’infettivologo.
“A volte – dice Cernuschi – mi trovo a seguire pazienti in uno stato avanzato d’infezione che potevano essere trattati in fase inziale se gli fosse stato consigliato di effettuare il test. In pazienti sani tra 45-50 anni con sintomi da polmonite, per fare un esempio, tra gli esami da consigliare non si deve escludere quello dell’Hiv”.
“Alcuni colleghi – conclude – non sanno della possibile interazione, altri, invece, hanno timore di consigliare il test perché il paziente potrebbe sentirsi giudicato e questo è rischioso, per il paziente stesso ma anche per gli altri. In caso di positività, oggi, i farmaci consentono una vita normale per sé stessi e per gli altri, poi ci sono anche terapie preventive talmente efficaci che consentono rapporti sessuali non protetti senza rischi”.
La mostra, curata da Diego Sileo e allestita con il contributo di Tod’s, è stata anche un’occasione per sostenere le attività a favore delle associazioni che aiutano le persone che vivono con Hiv: le foto e il catalogo sono in vendita e l’intero ricavato sarà devoluto alle realtà coinvolte (Asa – Associazione solidarietà Aids Odv, Cig Arcigay Milano Odv, Fondazione Lila Milano Ets e Milano Check Point Ets).
Alcuni scatti della mostra
Norberto Maccagno