Tre decenni fa si decise infatti di affidare ai professionisti intellettuali regolamentati da Ordini, il compito di gestirsi la previdenza obbligatoria in un quadro di riforma previdenziale generale.
A 30 anni di distanza possiamo tirare delle somme. Innanzitutto le Casse del lavoro autonomo hanno tutte rispettato gli impegni presi con i propri iscritti, pagando tutte le prestazioni pensionistiche e, in seguito, le prestazioni di welfare aggiuntivo che hanno promesso. In questo considerevole lasso di tempo nessuna cassa di lavoro autonomo è mai fallita: l’unica andata in crisi – è bene sottolinearlo – è stata la parte dell’Inpgi riferita al lavoro dipendente, gravata degli oneri sociali riferiti al lavoro subordinato. In terzo luogo, si è costruito un patrimonio notevole, che prima non c’era, e che ha funzionato da sostituto della fiscalità generale nel garantire le prestazioni. Infatti da quando hanno accettato la sfida della privatizzazione, è stato previsto che gli enti dei professionisti non potessero né direttamente né indirettamente ricorrere a risorse dell’erario. Quarto punto da tenere a mente: il patrimonio, costruito per sorreggere le prestazioni, è stato investito, e i rendimenti ogni anno hanno contribuito alla fiscalità generale.
Questo rapporto asimmetrico ha fatto sì, per esempio, che gli investimenti delle Casse abbiano sostenuto lo Stato portandogli 640 milioni di euro di imposte (nel solo anno 2022). In ultimo, gli enti giocano un ruolo di pilastro dell’economia nazionale. Nel suo ultimo rapporto, infatti, la Covip ha certificato che il patrimonio degli enti dei professionisti ha superato i 114 miliardi di euro, il 38,5 per cento dei quali (pari a 44 miliardi) è investito in Italia, con un aumento di quasi tre punti percentuali in un anno. Contando anche le risorse, oltre agli investimenti in senso stretto, in totale oltre la metà del patrimonio delle Casse è in Italia, e il 75 per cento è nello Spazio economico europeo, cioè nel mercato al quale l’Italia si rivolge.
Senza contare che l’aver devoluto alle Casse il compito costituzionale di gestire la previdenza delle loro categorie, ha sgravato lo Stato dall’onere di garantire loro la protezione sociale pubblica.
Questo è, quindi, il risultato di questa politica di sussidiarietà orizzontale affidata a corpi intermedi, quali gli enti dei professionisti.
Ma non ci siamo fermati qui. Abbiamo affermato il concetto che non ci può essere una buona previdenza se non c’è un buon lavoro sottostante. Dunque, oltre a tutelare il bisogno attraverso l’assistenza tradizionale, abbiamo cominciato a curare l’opportunità professionale. Questo perché la qualità e quantità del lavoro intellettuale si riflette sul flusso dei contributi. Sfogliando le pagine seguenti sono tanti gli esempi che salteranno agli occhi: i prestiti d’onore, i mutui accessibili, l’inclusione degli studenti, i riscatti flessibili, ecc. Interventi sulla fase iniziale del lavoro, così come sui periodi di interruzione, e tutele che vanno al professionista, alla sua famiglia, e a un welfare patrimonio di tutti.
Alberto Oliveti
N.B. Quest’editoriale è un contenuto in anteprima del Giornale della Previdenza 4/2024 che sta arrivando in questi giorni nelle case. Nel testo, il riferimento alle “pagine seguenti” riguarda gli altri servizi contenuti in tale edizione del giornale cartaceo.