La dipendenza dal Servizio sanitario nazionale genera disaffezione eppure c’è chi vorrebbe estenderla anche alla Medicina generale.
La proposta in discussione nella conferenza Stato-Regioni si scontra con quanto emerge da un nuovo sondaggio della Federazione Cimo-Fesmed, che registra l’insoddisfazione dilagante tra i suoi iscritti per come si è trasformata la professione.
Il sospetto, come sintetizza il presidente della Fnomceo Filippo Anelli, è che dietro il tentativo di portare nel perimetro pubblico l’assistenza territoriale, si celi la necessità di nascondere – specie alla luce dell’emergenza pandemica – “la polvere sotto il tappeto, anziché cercare le ragioni per le quali si è accumulata e rimuoverla”.
CIMO: IN FUGA DAL PUBBLICO
Dal sondaggio – promosso dal sindacato che rappresenta oltre 18mila camici bianchi – emerge, in particolare, un diffuso desiderio di fuggire dall’ospedale pubblico.
Se da una parte il 72 per cento degli oltre 4mila medici partecipanti – potendo tornare ai tempi della fine del liceo – risceglierebbe la stessa professione, solo il 28 per cento continuerebbe a lavorare in una struttura pubblica.
Tra le cause principali indicate, vi sono i carichi di lavoro eccessivi e la carenza di riposo, oltre alla eccessiva quantità di tempo dedicata agli atti amministrativi (per il 56 per cento degli intervistati).
Il 40 per cento ritiene, inoltre, insufficiente il tempo dedicato all’atto medico e all’ascolto del paziente.
“Identikit del medico ospedaliero: stanco, rassegnato e pronto alla fuga”
CONVENZIONE VS DIPENDENZA
E mentre dagli ospedalieri giunge il messaggio che la dipendenza dal Servizio sanitario nazionale è fonte di rimpianti, la subordinazione incombe sui colleghi medici di famiglia.
Nella discussione in atto in sede di Conferenza Stato-Regioni, proprio sul tema si è creata una frattura su come inquadrare i medici delle case di comunità.
Da una parte c’è chi, per rivedere un modello messo in crisi dall’emergenza pandemica, propone di archiviare la convenzione per i medici di famiglia, sostituendola con la dipendenza diretta dal servizio sanitario (Campania, Toscana, Veneto e Lazio).
Dall’altra chi invece vorrebbe – mantenendo il regime convenzionale e lo status di libero professionista – aumentare le ore di lavoro settimanali portandole da 15 a 38, delle quali 20 da fare in ambulatorio e almeno 6 da prestare nelle Case di comunità.
ANELLI (FNOMCEO): INUTILE NASCONDERE LA POLVERE SOTTO IL TAPPETO
Sul tema è intervenuto anche il presidente della Federazione, Filippo Anelli.
“Interessante come, proprio mentre i medici ospedalieri voglio fuggire dalla dipendenza, si voglia estendere questa forma contrattuale anche ai medici di medicina generale – ha commentato il presidente della Fnomceo -. Il sospetto è che si voglia, con una studiata demagogia, spostare il dibattito sulla forma giuridica, per non guardare come deve davvero cambiare il lavoro, sia negli ospedali che sul territorio. I medici però non ci stanno: e dicono basta. Basta a un sistema che affossa i medici con tutto un carico di lavoro improprio che deriva da un’organizzazione che ha fatto il suo tempo”.
ENPAM CONTRARIA
Come è noto, la Fondazione Enpam è assolutamente contraria a un eventuale passaggio alla dipendenza dei medici di famiglia attuali e futuri.
Un’eventuale mutazione del rapporto di lavoro, anche solo dei futuri medici convenzionati, metterebbe infatti a rischio l’equilibrio del sistema previdenziale e il pagamento delle pensioni già maturate.