Un intervento d’urgenza e, quando la tensione è calata, Sara si è trovata le mani di un detenuto al collo, che stringevano, strattonavano, tra insulti e imprecazioni. L’incubo per una giovane dottoressa, una specializzanda di appena 29 anni, si è presentato all’improvviso, lo scorso 25 aprile, mentre prestava servizio di guardia all’interno di un istituto penitenziario.
Sara – useremo un nome di fantasia a tutela della privacy della vittima di violenza – denuncia la sua esperienza al Giornale della Previdenza, ripercorrendo attimo per attimo la sequenza che ha portato a un’aggressione nella quale ha riportato “quindici giorni di prognosi”. “Un trauma cranico”, spiega, al quale se ne aggiunge un altro, non rilevabile ai riscontri strumentali. Una ferita interiore, che l’ha indotta a lasciare l’incarico che si era guadagnata attraverso un avviso pubblico.
L’AGGRESSIONE IN CELLA
“Era da un anno che prestavo servizio di guardia medica all’interno del carcere”, è il racconto della giovane professionista. “Quel giorno – continua – nel primo pomeriggio, sono stata chiamata per un detenuto che stava male, che aveva già avuto crisi simil-epilettiche, non organiche ma di eziologia nervosa”. Terapia di salvataggio e infermiere al seguito, la specializzanda arriva alla cella del detenuto da assistere. “Nella sezione – aggiunge Sara – c’erano molte celle aperte e i detenuti erano liberi di girare in corridoio. Diversi di loro erano di fronte e dentro alla cella del paziente da trattare”.
Il paziente è a terra, con quell’affollamento non c’è lo spazio per intervenire. “Chiedo che qualcuno esca”, ma ad uscire, secondo il racconto della specializzanda, “sono soltanto gli agenti della polizia penitenziaria, che mi lasciano sola con l’infermiere e 3-4 detenuti”.
“Facciamo l’iniezione, – prosegue il racconto – mi rialzo e mi trovo davanti un altro carcerato, il doppio della mia stazza, già noto per episodi di violenza. Sono senza via di fuga. Mi afferra alla base del collo e inizia a scuotermi urlando improperi”. Quelle mani stringono, strattonano, dalla bocca sgorgano insulti dialettali, in una furia che lascia impietrita la dottoressa di guardia, completamente in balia dell’aggressore. La vittima riesce a uscire da quella morsa solo quando l’infermiere aggancia una delle braccia protese del detenuto e la libera dalla presa. Arrivano gli agenti, torna l’ordine, il medico aggredito può uscire dalla cella e riprendere a respirare.
“Ho contattato subito il direttore dell’Unita operativa sanità del carcere, un collega che si è interessato subito alla situazione e nel giro di mezz’ora mi ha raggiunta”, racconta la dottoressa, che spiega di avere ricevuto la solidarietà dei dirigenti Asl, del presidente del consiglio comunale, “ma dall’istituzione penitenziaria niente. Solo tentativi di minimizzare l’accaduto da parte degli agenti presenti”.
In merito, l’Amministrazione penitenziaria è stata contattata dal Giornale della Previdenza per un commento sull’accaduto, ma non è ancora arrivata una replica.
LA DOPPIA DENUNCIA DELLA DOTTORESSA
In seguito è arrivato il momento della visita in pronto soccorso e della denuncia dell’aggressore, per lesioni, ai carabinieri. “È stato un atto dovuto – chiarisce Sara – ma non ho alcun rancore nei confronti di chi subisce la massima pena con la privazione della libertà e nel suo mondo è abituato ad agire attraverso grammatica della violenza”.
Un’altra denuncia ai militari dell’Arma è invece rivolta all’istituto penitenziario, con l’ipotesi di negligenza. “Quello che mi ha sorpreso – dice Sara – è non essere stata tutelata durante il mio lavoro. Per questo ritengo si dovrà indagare se ci siano state violazioni per la mancata tutela di un civile in carcere”.
IL SINDACATO: NON DOVEVA ESSERE LASCIATA SOLA
“Ascoltando il racconto della collega, viene da dire che non si sarebbe mai dovuta trovare da sola a contatto con altri detenuti, senza la presenza di un agente”, commenta Fabrizio Scalici, coordinatore dell’Esecutivo nazionale della Medicina penitenziaria della Fimmg. “C’è da dire – continua il medico che lavora da oltre trent’anni nelle carceri – che la Penitenziaria ha le proprie gravi difficoltà, soprattutto nella cronica carenza di organico”.
La medicina penitenziaria è recentemente entrata nell’ultimo Acn della medicina generale. “Una conquista”, la definisce Scalici, sottolineando comunque come ci sia “ancora tanto da fare”.
“Uno dei problemi più rilevanti – prosegue l’esponente del sindacato – è che in carcere esercitano ancora medici che non hanno ricevuto la formazione adeguata. In merito istituiremo dei corsi di preparazione alla medicina penitenziaria. E comunque la collega aggredita non doveva essere lasciata senza la presenza degli agenti”.
Antioco Fois