Attenzione a non fare confusione fra il sistema di adeguamento delle pensioni dell’Enpam con quello dell’Inps, che anche quest’anno prevede una minore rivalutazione rispetto ai criteri in vigore in passato.
L’Enpam infatti calcola le rivalutazioni per scaglioni. Ad esempio, se consideriamo una pensione di 3.000 euro lordi mensili, la parte fino a 2.272 euro viene aumentata del 4,05% (cioè il 75 per cento dell’inflazione) e la parte eccedente del 2,7% (cioè il 50 per cento dell’inflazione). In quest’esempio, quindi l’aumento sull’importo totale è del 3,72%
Alle pensioni erogate dall’Inps, invece, la rivalutazione attualmente viene applicata sull’intero importo della pensione.
La rivalutazione va da un massimo del 100 per cento dell’inflazione (5,4%), ma solo per gli assegni che al di sotto di quattro volte il minimo Inps (cioè circa 2.272 euro). Mano a meno che aumenta l’importo pensionistico, la percentuale di rivalutazione cala: 85 per cento fino a cinque volte il minimo Inps, 53 per cento fino a sei volte, 47 per cento fino a otto volte, 37 per cento fino a dieci volte, per arrivare a un minimo del 22 per cento dell’inflazione (cioè meno dell’1,2% di aumento) per chi supera i 5.679,41 euro di pensione lorda.
Tornando all’esempio di un pensionato (ad esempio un ex dirigente medico) che percepisce 3mila euro lordi di pensione dall’Inps, la rivalutazione sarebbe del 2,86%.
Va rircordato che tutti i provvedimenti assunti dai vari Governi succedutisi e dal Parlamento hanno determinato, per i pensionati Inps, soprattutto riduzioni strutturali permanenti e crescenti. In considerazione che anche le possibili indicizzazioni future saranno applicate ad importi di pensione ovviamente più ridotti. L’effetto, infatti, si cumula nel tempo a maggior ragione quando i tagli sono ripetuti. Condizione questa che la stessa Consulta aveva ripetutamente ammonito dal non continuare a fare, per non privare le pensioni, d’ importo più elevato, della tutela dai danni inferti dai fenomeni inflattivi.