Tornare dagli Stati Uniti a Bologna è la “scelta d’amore per il nostro Paese” del medico italiano che le cronache nazionali celebrano come “il mago della chirurgia robotica”. Dopo quasi vent’anni Oltreoceano, Antonio Gangemi ha accettato un incarico all’Università di Bologna e all’Irccs Sant’Orsola, per coordinare le attività cliniche e di ricerca connesse alle piattaforme chirurgiche innovative.
“Costruire la mia carriera accademica negli Stati Uniti e tornare per mettere a disposizione le competenze accumulate è un desiderio che avevo da quando ho lasciato l’Italia”, racconta al Giornale della previdenza il professore universitario che sette mesi fa ha messo il camice in valigia ed è tornato dagli States. Cinquantenne, laureato all’Università di Reggio Calabria, scuola di specializzazione in chirurgia generale a Padova, Gangemi è stato ufficiale medico delle forze Nato, con una carriera professionale all’Università dell’Illinois da oltre 100 pubblicazioni. Adesso è tra i sei chirurghi del policlinico emiliano che hanno la certificazione per l’uso del nuovo robot Hugo.
IN DIFESA DEL DIRITTO ALLA SALUTE
Il chirurgo, che ha lasciato a Chicago la famiglia e un compenso doppio rispetto all’Italia, ha un obiettivo preciso: “Tutelare e rafforzare uno dei valori più preziosi che abbiamo: la sanità pubblica e il nostro concetto di diritto alla salute”. “Un principio citato in Costituzione – ricorda il medico – che mette il nostro servizio sanitario agli antipodi di quello degli Stati Uniti, dove le cure sono un privilegio. Un modello di sanità che mi auguro non arrivi mai in Italia”.
HUGO AL SERVIZIO DEL CHIRURGO
La nuova piattaforma robotica del Sant’Orsola “viene usata per interventi di chirurgia del tratto alimentare, come l’ernia iattale, per interventi allo stomaco come colescisti o chirurgia bariatrica. E l’auspicio è eseguire oltre 200 interventi l’anno”, spiega Gangemi, che descrive Hugo come un’estensione delle abilità del chirurgo. Il robot, che opera con diverse braccia indipendenti, permette di vedere il campo operatorio in modo tridimensionale e “consente una comunicazione più facile tra il chirurgo e il team. È versatile e può essere impiegato meglio anche nella chirurgia pediatrica”. Inoltre Hugo opera “senza il tremore fisiologico della mano del chirurgo – sottolinea Gangemi – e la piattaforma permette di fare interventi complessi in laparoscopia, con molti meno rischi rispetto all’approccio tradizionale, sia di complicanze post-operatorie che di sanguinamento, con i ricoveri che si riducono di molto”.
STRADA PER LA MEDICINA DEL FUTURO
“In Italia non ci manca nulla per sviluppare un nostro sistema robotico. Abbiamo la competenza di ottimi chirurghi – ci tiene a precisare il medico – e per questioni di carattere culturale abbiamo una capacità creativa e di innovazione che ci contraddistinguono anche nel settore della tecnologia in campo medico-chirurgico. Non è un caso che siamo stati uno dei primi Paesi a lanciare la chirurgia robotica a livello mondiale e che il primo robot chirurgico si chiamasse ‘da Vinci’, in onore del nostro Leonardo”.
Ma la strada per la medicina del futuro sembra, prima di tutto, resa accidentata dai paletti della burocrazia. “Ci sono difficoltà – dice Gangemi – per ottimizzare al massimo le esperienze acquisite all’estero. In particolare per portare avanti progetti in ambito di ricerca tecnologia innovativa e per la loro applicazione clinica”.
Un paradosso che, secondo il medico formato in America, “mette un freno alle nostre capacità, impone tempi eccessivamente lunghi e rischia di rallentare quell’impeto di innovazione al quale noi come italiani siamo propensi”.
LA MACCHINA NON SOSTITUIRÀ IL MEDICO
“Il computer è entrato in maniera preponderante nei nostri ospedali, studi medici e sale operatorie. Il potenziale sviluppo della piattaforma robotica è enorme, ma molti colleghi sono ancora scettici”, spiega Gangemi. “Non vedo la robotica e l’intelligenza artificiale come minacce alla professione medica, – precisa il chirurgo – ma come risorse che sta a noi assicurarsi che rimangano tali”. Da qui la necessità di far progredire di pari passo “sviluppo tecnologico e regolamentazione, cosa che – sostiene – non mi sembra stia accadendo. La tecnologia applicata nelle scienze mediche e chirurgiche va a una velocità impressionante e il mondo dell’etica medica fare uno sforzo per mettersi al passo”.
Addentrandosi nell’orizzonte della tecnologia applicata alla pratica clinica non bisogna quindi perdere di vista il valore della figura del medico, “la nostra capacità di pensare, diagnosticare, trattare le problematiche cliniche”. E soprattutto non bisogna delegare a un programma informatico “la relazione con il paziente, che deve essere sempre gestita da noi. Dobbiamo ricordarci – precisa Gangemi – che trattiamo esseri umani, che insieme al loro problema clinico hanno emozioni, sentimenti, uno spirito e un’anima”.
Insomma la macchina non può sostituirsi al medico in quel patto terapeutico che lo lega al paziente. “Per questo – è l’appello del chirurgo – dobbiamo impegnarci tutti, i singoli e gli enti come l’Enpam, affinché questo non avvenga mai”.
Antioco Fois